DIALOGO TRA I GIOVANI E LA CHIESA!
Il VI Forum di Parigi


Di Cristina Vonzun
Al VI Forum internazionale per invito del Pontificio Consiglio per i Laici




Sono passati alcuni mesi dalla conclusione della giornata mondiale della gioventù e il messaggio del VI Forum Internazionale dei giovani, scritto dai rappresentanti di 150 tra Conferenze Episcopertine/copali, movimenti e associazioni di tutta furbe cattolica è stato diffuso nelle diverse Chiese locali. Si tratta di un testo agile, in cui i giovani trasmettono la loro testimonianza e comunicano il loro stile di vita di fronte all'avvenimento cristiano e nella prospettiva del nuovo millennio.


MA QUALI SONO I PASSAGGI SALIENTI DI QUESTO MESSAGGIO?

- La consapevolezza di essere un'unica Chiesa pur nelle diversità culturali.
- La condivisione comune della ricchezza dell'amore di Dio che è fonte dell'amore verso tutti.
- La responsabilità in ordine alla coscienza di essere chiamati da Cristo ad operare nel mondo e nella Chiesa.
- Il desiderio di vedere un mon do ed una chiesa rinnovati.
- La volontà forte di essere la Chiesa di oggi e non solo quella di domani.
- Il desiderio della presenza di persone consacrate che seguano i giovani nel cammino spirituale.
- L'impegno concreto per iniziative di dialogo e di pace.
- L'invito a meditare sull'unità della Trinità come segno dell'unità che desiderano tra le Chiese del mondo.
- Sono venuti e hanno visto, "ora è il momento di andare e di annunciare".

Dietro a queste parole c'è la vita dei 300 delegati di Parigi, cioè di giovani che già nell'oggi, nella propria chiesa locale, sono dei testimoni coraggiosi del Vangelo. Ho incontrato giovani veri, appassionati al Signore e alla Chiesa che hanno saputo fare delle scelte radicali e che nei prossimi mesi, come frutto del Forum, ne porteranno a termine altre. Il Papa, lasciando Parigi, ha parlato di loro e ha detto: "con questi giovani la Chiesa che entra nel III. millennio si può sentire più sicura".


MA CHI SONO E COSA PENSANO QUESTI GIOVANI CHE HANNO COLPITO IL SANTO PADRE

Essi si caratterizzano per alcuni tratti comuni, molto forti.

Il primo: la coscienza della propria eredità e la richiesta esplicita alla Chiesa di essere se stessa, ovvero di non avere paura a vivere la cattolicità. I giovani sono esigenti e invitano tutti, a partire da loro stessi, a ricercare l'unità nel rispetto e nella valorizzazione delle caratteristiche culturali locali, soprattutto nelle Chiese più giovani dove c'è sempre il rischio di sostituire all'evangelizzazione l'occidentalizzazione.

Il secondo: questi giovani amano profondamente la Chiesa, ma sono molto esigenti nei suoi riguardi, proprio perchè sono esigenti verso loro stessi. Ne nasce un pressante invito alla Chiesa a non smarrirsi nel mondo di oggi, a non mondanizzarsi e ad essere vicina agli uomini del nostro secolo, con l'esplicito invito ad essere una Chiesa prossima di tutti, soprattutto prossima alle nuove generazioni. Sono giovani che soffrono non tanto per le difficoltà che hanno nel testimoniare Cristo al mondo, ma per la fatica che devono affrontare nel dialogo con la gerarchia ecclesiale. Questi giovani soffrono quando non vivono la chiesa come famiglia. Essi ricercano l'esperienza originaria del cristianesimo: la comunione di cui il dialogo e la paternità sono elementi educativi decisivi, così come è in ogni famiglia umana.

Il terzo: cercano l'affidamento della loro educazione a figure che ricalchino l'immagine del "padre" più che del "maestro" e accettano i maestri quando questi si presentano come testimoni di vita che sanno dialogare con loro dentro ad un rapporto di rispetto, di amore e di affetto. Non si tratta di una richiesta dettata da categorie emotive: i giovani sono esigenti e sanno leggere molto bene che differenza passa tra chi sale in cattedra e chi, magari pur insegnando, trasmette loro con passione e amore quello che vive. Questa è una generazione attenta ai "falsi maestri", attenta a leggere tra le righe se quanto si dice ha un riscontro vero con la vita.

Il quarto: i modelli di vita. Giovanni Paolo II è decisamente al primo posto dell' hit parade mondiale. Parrebbe strano, eppure la Chiesa cattolica alle soglie del III. millennio, proprio nei rappresentanti mondiali della sua giovane generazione si riconosce all'unanimità nel vecchio Papa. Il Papa è amato e lo sentono come padre e testimone: la sua capacità di ascolto, il suo amore per loro che lo spinge ad impegnarsi fin oltre i suoi limiti fisici (e i recenti incontri di Parigi e Bologna lo hanno nuovamente confermato), i suoi richiami a vivere in modo esigente il cristianesimo e ad essere protagonisti dell'evangelizzazione, trovano i giovani attenti e affascinati. In fondo questa è la generazione cresciuta fin da piccola nel confronto con Giovanni Paolo II e con il suo ministero, magari arrivato loro attraverso chissà quali mediazioni, ma comunque arrivato. Per questo sono esigenti nei confronti della Chiesa, perché l'avvenimento cristiano gli è stato presentato così e hanno capito che il metodo proposto dal Papa è vero, cioè è umano. Ed esigenti sono anche i loro modelli, persone che nella chiesa odierna rappresentano un forte richiamo di santità e che sono state esigenti con loro stesse, Madre Teresa e Giovanni Paolo II, sono due esempi che valgono per molti di loro.


MA COSA CHIEDONO I GIOVANI ALLA CHIESA?

Di aiutarli ad incontrare Cristo, di permettere loro di vivere comunità che siano vere famiglie più che strutture o chiese di mattoni, di aiutarli nella loro formazione umana e cristiana, di educarli a vivere il comandamento dell'amore che pare essere la "legge naturale" di questa generazione di cattolici. È infatti questo precetto evangelico il cuore del loro dire, essere, vivere e pensare Chiesa. Quasi naturalmente riconducono ogni parola che sentono, ogni esperienza personale che viene loro proposta, verificandola attentamente con queste parole. Mai per astrazione, sempre per concretezza. Questo vale su tutto il resto, sia per un giovane dell'Africa, che della benestante Europa occidentale, che del nord America, che di qualsiasi continente. E questo chiedono alla Chiesa, di cui si sentono interlocutori ed al contempo responsabili, cioè desiderosi di dialogo e di essere valorizzati nell'annuncio. Ma non hanno imparato questo da loro stessi. Tutto il magistero del Santo Padre, in ordine agli incontri con i giovani, sia nazionali che mondiali è costituito dal dialogo, dal porsi in ascolto della realtà dei giovani, dalla proposta di Cristo, indicando loro un chiaro itinerario formativo e di vita comunitaria aperta alla testimonianza responsabile. L'obbiettivo finale è la realizzazione della propria persona nella scopertine/coperta del progetto del Signore.

Questo itinerario non viene indicato solo ai giovani. Il Papa ne ha più volte ribadito i punti salienti anche per gli operatori pastorali, ed è un segno dei tempi che dai giovani stessi salga oggi l'invito alla Chiesa tutta a muoversi ancor più in sintonia con il Santo Padre che è e rimane il promotore primo della Pastorale giovanile mondiale, fosse solo per il fatto di aver "Inventato" le giornate mondiali della gioventù.

La strada che Giovanni Paolo II ha compreso, vissuto e indicato alla Chiesa, fin da prima del suo pontificato, già nel suo ministero di Vescovo di Cracovia, è quella di vivere con i giovani la Chiesa come compagnia educativa e affettiva: strada di dialogo e comunione. Non sono mancate le testimonianze di quanto tempo, Karol Wojtyla, da arcivescovo di Cracovia, ha dedicato ai giovani, magari semplicemente stando con loro, andando a sciare, vivendo una compagnia.


E ALLORA NELLA NOSTRA DIOCESI?

Qui nella nostra diocesi il cammino della pastorale giovanile ha subito un'innegabile svolta nell'ottica di questa prossimità totale della Chiesa ai giovani, grazie alla passione del Vescovo Eugenio Corecco e ora continua con il Vescovo Giuseppe Torti. Proponiamo a tutti i lettori un brano di un dialogo, di quelli carpiti con il registratore, tra alcuni giovani e i nostri due Vescovi, durante le assemblee del corso di formazione spirituale che Mons. Corecco ha inaugurato e Mons. Torti porta avanti con successo di partecipazione, segno anche questo, di un'esigenza a cui è necessario rispondere. Si tratta di domande essenziali, la prima tratta la questione del dialogo tra il giovane e la Chiesa, la seconda tra il giovane nella Chiesa e il mondo.


Il Vescovo Eugenio, sul senso dell'incontrarsi (15 ottobre 1994 e 22 gennaio 1994)

"Se vi leggessi ancora gli Atti al cap. 2 non sarebbe sbagliato, perché dovete rendervi conto che non stiamo facendo una cosa "strana"; bensì quello che tutti i cristiani dovrebbero fare se avessero una fede reale. I primi cristiani hanno proprio agito così quando hanno intuito che credere nella Risurrezione di Cristo significava comportarsi in modo diverso. Per cui si incontravano tra loro a pregare, per incoraggiarsi, per aiutarsi moralmente e spiritualmente nel segno della comunione e dell'amicizia vicendevoli; creando un fenomeno strano prima inesistente nella società, quella di una comunità fuori dagli schemi abituali della vita sociale del tempo. "Si sono aiutati a vicenda", è quanto riporta per ben due volte la storia della Chiesa primitiva scritta da San Luca negli Atti degli Apostoli: in quel momento la Chiesa, la prima comunità cristiana, fortemente protagonizzata dagli Apostoli e soprattutto da Pietro e Paolo ha fatto così. Questo incontrarci è l'essenziale dinamica della comunione. Il fatto che voi siete qui adesso con il Vescovo, successore degli Apostoli, al di là dei contenuti che variano, è la miglior introduzione alla comprensione del Mistero cristiano e vi aiuta a formare una coscienza ecclesiale."


Un giovane chiede al Vescovo Giuseppe (4 ottobre 1997). Come possiamo staccarci da questo mondo materialista per diventare santi?

"Staccarci dalla vita materiale, significa vivere bene il quotidiano, ciò in cui ci immergiamo ogni giorno. Noi siamo nel mondo per viverci è il Signore che ci ha posto qui. Siamo nel mondo ma non siamo del mondo ... Spesso si avverte una dicotomia tra Chiesa e quotidiano. Come può entrare la Chiesa nel quotidiano? Ebbene la Chiesa è una comunione, dunque questo equivale a dire: come è possibile che non ci sia la Chiesa se noi ci siamo? Noi siamo la Chiesa nel quotidiano".


Dialogando con la Chiesa, il giovane scopertine/copre la sua personalità come un io aperto ad un tu, che diventa un noi inscindibilmente in Cristo. Questo è il cammino per continuare a fondare una reale e costruttiva presenza cristiana in dialogo con il mondo, per essere aperti ad ogni incontro senza smarrire la propria identità. Questa è l'esigenza espressa dai giovani del Forum e indicata nel metodo di pastorale di Giovanni Paolo II: tocca a noi continuare.